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L’amica Geniale. Storia di Lila Cerullo e della genesi del narcisismo.

Se Lenù è assunta a prototipo della dipendente affettiva (leggi qui), la piccola Raffaella Cerullo, detta da tutti Lina e dall’amica Lila, sin da bambina sembra un piccolo concentrato di tratti narcisistici. Infatti, è proprio quando la magia dell’infanzia proietta ancora la sua inquietante luce su un potenziale futuro, che i personaggi si giocano la partita della loro stabilità psicologica, prima che il punto di rottura frantumi, rendendo per sempre vulnerabile, una personalità ancora in divenire.

Lungi dal farvi inorridire all’idea di etichettare questo molto amato personaggio ferrantiano come narcisista, ricordate che il narcisismo si manifesta in uno spettro di varianti e che questo non implica necessariamente lo sviluppo di un conclamato disturbo narcisistico di personalità (Dnp). Al contrario, quote ragionevoli di narcisismo funzionano come un eccezionale motore psichico che permette spesso a chi ce l’ha di essere davvero geniale, sicuramente sopra la media. Inoltre servirà tenere a mente che in psicologia il termine narcisismo è usato non per l’intrinseco potere ricattatorio, punitivo o diffamatorio che talvolta gli viene attribuito dai non addetti ai lavori, ma per la comprensione che può offrire di più di un comportamento.

La storia infantile di Lila e il modo in cui essa evolve plasmandone la personalità in età adulta, torna infatti molto utile nel fornire al contempo una traccia e una spiegazione di come origina il narcisismo e del perchè si possono sviluppare tratti narcisistici. Comunemente si pensa che i bambini destinati allo sviluppo di tratti narcisisti siano stati amati e adorati all’inverosimile, tanto da ingigantire oltremisura il loro ego adulto. Nella maggior parte dei casi non è affatto così: più spesso infatti hanno avuto infanzie deprivate, dominate da un indicibile senso di perdita e da un potente (legittimo) desiderio di rivalsa che non di rado li spinge a fare grandi cose.
Allo stesso tempo sviluppano quote anche importanti di dipendenza, come succede a Lila nei confronti di Lenù, dalla quale non riuscirà mai davvero a distaccarsi.

I narcisisti infatti:

  • Sono intelligenti e affascinanti ma mancano di empatia: Lila è intelligente, brillante, poco empatica, carismatica, forte: “Già in prima elementare era al di là di ogni possibile competizione […], faceva a mente calcoli complicatissimi, nei suoi dettati non c’era nemmeno un errore […] Lila era troppo per chiunque […] La sua prontezza mentale sapeva di sibilo, di guizzo, di morso letale. […]. Gli occhi grandi e vivissimi sapevano diventare due fessure dietro cui, prima di ogni risposta brillante, c’era uno sguardo che pareva non solo poco infantile, ma forse non umano […]. Ogni suo movimento comunicava che farle del male non serviva perché, comunque si fossero messe le cose, lei avrebbe trovato il modo di fartene di più […]. Emanava una specie di “fluido che non era semplicemente seducente ma anche pericoloso”.
  • Hanno vissuto le prime esperienze di attaccamento in maniera intensa anche se queste, in qualche modo, sono state improvvisamente o traumaticamente interrotte o deteriorate, per cui si è minata la fiducia di base e il senso di sicurezza. Nelle future relazioni significative l’antica perdita sarà costantemente riprodotta, nel tentativo di gestirne l’angoscia anticipandola: Lila e Lenù sin da piccole erano state costrette a lottare contro i rispettivi genitori per proseguire gli studi, ma, mentre Elena ottiene la possibilità di iscriversi alle scuole medie, alla piccola Lila questa possibilità è negata per sempre e costituisce la prima grande perdita della sua vita, la perdita della possibilità di riscatto sociale ed economico e la condanna a una condizione proletaria e operaia. Infatti, se per Elena conoscenza e sapere rappresentano gli unici elementi che possono consentirle un pieno distacco da Lila e dalla madre Immacolata, per Lila l’istruzione è l’unico elemento che può garantirle la fuga da un destino che rifiuta con ogni forza, molto più di quanto non faccia la sua amica (proverbiale il volo della bambina dalla finestra, gettata via come una “cosa” dal padre furioso che non voleva più sentirle chiedere di proseguire gli studi). Da allora la perdita sarà costantemente (inconsciamente) riprodotta nelle relazioni significative, che saranno messe alla prova continuamente per verificarne la tenuta, prima tra tutte quella con Elena, dalla quale Lila si allontanerà e avvicinerà molte volte, come se fosse legata a lei da un elastico di cui ciclicamente sente il bisogno di verificare l’elasticità.
  • Hanno un Vero Sé fragile e vulnerabile, per questo difeso costantemente da una corazza di grandiosità che rende i narcisisti socialmente adattati e desiderabili per le loro doti: l’antica perdita, agendo come insanabile ferita narcisistica, rende vulnerabile il Vero Sé di Lila. Da allora la bambina, poi divenuta donna, non farà che corazzarlo nel tentativo di difenderlo. Darà vita dunque a un’immagine di sé conforme a ciò che la società in cui vive si aspetta (sposerà Stefano Carracci giovanissima, avrà dei figli) ma senza mai riuscire veramente a tenere a bada il guizzo di genialità che la muove (sarà la mente creativa del calzaturificio Cerullo, fonderà la Basic Sight). Ci saranno però momenti in cui tutta la sua vulnerabilità verrà fuori con prepotenza, rompendo i margini di un sé incredibilmente fragile. Lila chiama quei momenti smarginatura, probabilmente uno dei concetti più belli e potenti nati dalla penna della Ferrante. La prima volta che la smarginatura colse Lila di sorpresa era il capodanno del 1958: “Fu – racconta Elena – come se in una notte di luna piena sul mare, una massa nerissima di temporale avanzasse per il cielo, ingoiasse ogni chiarore, logorasse la circonferenza del cerchio lunare e sfornasse il disco lucente riducendolo alla sua vera natura di grezza materia insensata”. La smarginatura, fenomeno psichico di natura dissociativa, la sorprende più debole di quanto Lila si impegni a mostrare per tutta la vita, in balìa di uno stato di panico assoluto, dove la realtà perde consistenza e rende liquidi, molli e cedevoli i confini delle cose e della sua identità: è la corazza narcisistica che irrimediabilmente crepa, esponendo il Vero Sé in tutta la sua fragilità ad un mondo estraneo e violento, dal quale la ragazza si percepisce come “scollata”.
  • Tendono a punire gli altri per le cose che hanno e che a loro sono precluse, anche sabotandoli secondo una logica maligna per cui: “se non posso averlo io non devi averlo neanche tu”. Succede così che la piccola Lila organizza la romantica fuga dal Rione. Promette ad Elena che la porterà a vedere il mare ma, a metà del tragitto, cambia idea e, senza darle la possibilità d’opporsi, la trascina indietro sotto una pioggia scrosciante che le infradicia. Quando la madre di Elena scopre la bugia che la figlia le aveva raccontato per coprire quella bravata, fa in modo che il padre la picchi violentemente. Lila vede sul suo viso i segni della violenza, se ne dispiace, ma le preme sapere di più se la manderanno lo stesso a scuola. È la stessa Lenuccia a chiedersi: “Mi aveva trascinata con sé augurandosi che i miei genitori per punizione non mi mandassero più alla scuola media? O mi aveva riportata indietro in fretta e furia proprio per evitarmi quella punizione? o – mi chiedo oggi – aveva voluto in momenti diversi tutte e due le cose? Certo è che, quando fecero l’esame di licenza elementare e Lila si rese conto che Lenù avrebbe fatto anche quello di ammissione, “perse energia”. Accadde così una cosa che sorprese tutti: Elena prese voti più alti di Lila. La bambina terribile e sfolgorante non pronunciò una sola parola di rabbia o di scontento ma punì Lenù preferendole la compagnia di Carmela Peluso. Da allora diventarono un trio, dove però Elena, che era stata la prima a scuola, diventò terza: scherzavano di continuo tra loro escludendola. Lila l’aveva punita togliendole l’esclusività della loro amicizia e, alla maniera narcisistica, l’aveva triangolata ad arte nella relazione con Carmela.
  • Sono ambiziosi e spesso risultano essere i primi in ogni cosa che fanno: A scuola, come nella vita, Lila non ammetteva di poter sbagliare. Quando il direttore le pose un problema difficilissimo inventato da lui in persona, lei concluse che nel testo dovesse esserci qualcosa di sbagliato, perché il problema non si poteva risolvere. La maestra allora la rimproverò: “Quando non si sa risolvere un problema, non si dice: il problema è sbagliato. Si dice: io non sono capace di risolverlo”. Per Lila sbagliare era tanto insopportabile quanto pericoloso: la scuola era il canale che aveva scelto per affrancarsi dal suo destino, un destino che la voleva ignorante, concludere le scuole con la licenza elementare, sposarsi, fare figli e smettere prima possibile di gravare sulla famiglia numerosa che il padre calzolaio faticava a mantenere. La precoce chiusura del percorso scolastico di Lila non la condanna però ad essere seconda a nessuno: sempre in grado di ottenere risultati straordinari, Lila prende in prestito (e legge) più libri di tutti nel rione (vince il primo premio indetto dall’anziano maestro della scuola elementare per i lettori più assidui che frequentano la biblioteca); studia e impara il latino e il greco da autodidatta, meglio e prima di Elena, la quale si chiede affranta: “faceva sempre le cose che dovevo fare io prima e meglio di me?”, diventa un’artigiana eccezionale creando delle scarpe uniche: “non avevo mai visto ai piedi di nessuno qualcosa del genere”; infine, esplosa con l’adolescenza la sua incredibile carica seduttiva, sposta progressivamente la competizione con Elena sul piano della seduzione: “se io buttavo lì qualcosa (di culturale) lei (Lila) con poche battute, frettolose ma quasi sempre bonarie, cancellava ogni possibile conversazione e passava a mostrarmi i doni di Stefano, l’anello di fidanzamento, la collana, un vestito nuovo, un cappellino, mentre le cose che mi appassionavano, con cui mi facevo bella con i professori tanto che loro mi consideravano brava, si afflosciavano in un angolo prive di senso”.
  • Manipolano le relazioni e usano gli altri come estensioni narcisistiche di sé per realizzare i loro progetti, fino a renderli simili a loro. Lila darà mandato ad Elena, utilizzandola come estensione di sé, di ottenere i traguardi scolastici che a lei sono stati negati: “Studia tu per me, e se trovo difficoltà mi aiuti. Io adesso ho una cosa da fare con mio fratello…” e si dedica alla creazione delle innovative scarpe Cerullo. Quando sarà prossima al matrimonio dirà a Elena: “Qualsiasi cosa succeda tu continua a studiare” e si offrirà di darle dei soldi per finanziare i suoi studi. Persino di fronte all’evidenza che ad un ad un certo punto le scuole finiranno, Lila desisterà dal fomentare il suo progetto per Elena: “non per te […] tu sei la mia amica geniale, devi diventare la più brava di tutte, maschi e femmine” e le conferirà persino lo status di “geniale” che fino ad allora ogni lettore aveva attribuito senza indugi a lei. Qualche anno dopo, quando è una novella sposina infelice, implorerà Elena di andare a studiare nella sua nuova scintillante casa/prigione. Elena rimarrà spiazzata dalla sua proposta: “mi voleva davvero inchiodata al ruolo di chi passa la vita sui libri mentre lei […] si prendeva tutto, si concedeva tutto”. Effettivamente, legandosi in matrimonio a Stefano, Lila eleva alla velocità di un “sì lo voglio” il suo status sociale. Tutto a un tratto fa esperienza di cosa vuol dire avere denaro, essere benestanti, essere ammirati da tutti, lei, la bambina troppo “secca” e vestita di pezze, figlia dello scarparo. Ma tutto questo ha il costo del sacrificio dell’idealismo che fino ad allora l’aveva animata: “I sogni della testa sono finiti sotto i piedi”, dice frattanto che indossa le scarpe da sposa disegnate dalla sua stessa mano. Lila sceglie di manipolare le logiche camorriste a suo vantaggio, non di prenderne nettamente le distanze: si oppone sì al corteggiamento serrato di Marcello Solara, ma non pensa di sposare il fruttivendolo Enzo né il comunista Pasquale restando plebe, come nella maledizione lanciatale della maestra Oliviero. No, lei sceglie Stefano, figlio del terribile don Achille, e con lui contrae un matrimonio che non è affatto estraneo alla logica camorrista del prevalere, dell’ostentare – come svela il simbolo del fidanzamento: l’automobile sportiva rosso fiammante del suo futuro marito, comprata per portare Lila in bella mostra come un trofeo su e giù per le strade del rione; una macchina di gran lunga più costosa e appariscente della millecento con cui scorrazzavano i Solara. Elena si sente confusa di fronte al mutare dell’amica dal multiforme ingegno: “Era Lila a piegare Stefano a quei comportamenti che ne stavano facendo la coppia più ammirata e più chiacchierata del rione? Era quella l’ultima novità che si era inventata? Voleva uscire dal rione restando nel rione? Voleva trascinarci fuori da noi stessi, strapparci la nostra pelle e imporcene una nuova, adeguata a quella che si stava inventando lei?”. Del resto, c’erano già state delle persone che si erano messe addosso la pelle di Lila ed altre ce ne saranno. La prima fu Carmela Peluso la quale, “sebbene oscillasse fastidiosamente tra troppe risate e troppe lagne, aveva subito l’influenza di Lila in una forma così potente da diventarne a tratti una specie di surrogato” (parlava imitandone i toni, usava certe sue espressioni ricorrenti, gesticolava e si muoveva come lei). In tal senso però la trasformazione più eclatante è senza dubbio quella dell’amico Alfonso, poi scopertosi omosessuale: “Il mio vecchio compagno di banco, coi capelli sciolti, la veste elegante, era la copia di Lila. La sua tendenza ad assomigliarle […] si era bruscamente definita; e, forse, in quel momento era anche più bello, più bella di lei, un maschio – femmina, pronto, pronta, a incamminarsi per la strada che porta alla Madonna Nera di Montevergine.

Dei tratti narcisisti della piccola Lila si potrebbe scrivere molto e anche di come col tempo sia stata in grado di arginarli, di contenerli. Nella sua vita di adulta infatti riuscirà gradualmente a rendere permeabile la sua corazza e a prendere, quindi, sempre maggiore contatto con la parte più autentica di sè (il legame con Enzo, la Basic Sight, la lotta operaia, l’articolo contro i Solara), fino a che una nuova inaccettabile perdita, quella della figlia adorata, non riattiverà vecchie modalità narcisistiche di gestione dell’angoscia, portandola alla decisione di svanire nel nulla, cancellandosi per sempre dalle relazioni più importanti.

Per concludere, insomma, basterà ricordare come il libro inizia: Lila è sparita, in pieno stile narcisistico.

A comunicarlo ad Elena è una voce maschile dall’altro capo della cornetta. Ha fatto perdere di sé ogni traccia, s’è portata via i documenti e s’è tagliata via dalle foto. Oggi lo chiamano ghosting ma c’è sempre stato, persino prima che i social lo sdoganassero come nuova, patologica, tendenza relazionale 2.0. Chiunque abbia avuto a che fare con un narcisista sa quanto queste sparizioni possono essere feroci, stupefacenti, inaspettate, ingiuste. “Lila come al solito vuole esagerare”, pensa l’amica. Sì, i narcisisti esagerano sempre e fanno così tanto infuriare chi sta loro accanto. “Mi sono sentita molto arrabbiata”, ammette Elena, e aggiunge: “Vediamo chi la spunta questa volta”, poi accende il computer e comincia a scrivere ogni dettaglio della loro storia, tutto ciò che le era rimasto in mente.

    “Voglio che lei ci sia, scrivo per questo. Voglio che cancelli, che aggiunga, che collabori alla nostra storia rovesciandoci dentro, secondo il suo estro, le cose che sa, che ha detto o che ha pensato”.

Nasce così la quadrilogia della Ferrante, dalla rabbia che prova la sua protagonista per la sparizione dell’amica di sempre. Venduta in ben 40 paesi nel mondo, la saga di Elena e Lila, ad oggi (tra cartaceo ed ebook), in Italia ha stregato un milione e mezzo di lettori, negli Stati Uniti praticamente due milioni. I numeri danno la misura del successo della scrittrice ma anche di come la rabbia provata per la fine di una relazione con un narcisista possa produrre straordinari capolavori se solo ci si impegna, con la devozione e la costanza di Elena, a dare parole al dolore della perdita, un dolore che nella trama della narrazione diviene strumento privilegiato di una straordinaria sublimazione.

Se ti è piaciuto questo articolo puoi leggere anche L’amica Geniale. Storia di Elena Greco e della genesi di una dipendenza affettiva.

Dott.ssa Silvia Pittera, Psicologa e Psicoterapeuta.

2 pensieri su “L’amica Geniale. Storia di Lila Cerullo e della genesi del narcisismo.”

  1. Illuminante .Un esposizione perfetta. Si entra nel mondo di due amiche ( una bionda e una scura, non a caso). Un mondo pieno di antagonismo e imposizioni ben mirate. Il continuo ritmo e la cadenza esponenziale nel primeggiare da parte di Lila nei confronti di Lenù, è come un vortice che assorbe lo spettatore che ne rimane affascinato ma anche con dell’amaro in bocca: troppa è l’accondiscendenza di Lenù.. a volte angosciante.La ringrazio x il suo articolo davvero interessante – esaustivo e molto chiaro, Grazie di cuore

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