dipendenza affettiva, relazioni tossiche

L’amore al tempo del Coronavirus

E’ il marzo 2020.

Sono giorni difficili. Giorni che non abbiamo mai conosciuto prima. Di fronte ad essi nessuno di noi è davvero preparato.

Il Coronavirus, con la sua portata di cambiamenti radicali del ménage quotidiano, mette a dura prova tutti.

Il fatto che questi cambiamenti siano imposti dall’alto, poi, rende i provvedimenti ancor più difficili da accettare: manca infatti la possibilità di negoziazione a cui la democrazia, fortunatamente, ci ha abituati: scuole chiuse, esercizi commerciali chiusi, divieto di spettacoli, convegni ed eventi di ogni genere. Vietato uscire se non per necessità. Si va avanti col telelavoro, lezioni on line, videocorsi, videochat.

L’imperativo “state a casa” da un lato rassicura (abbiamo infatti una strategia per uscirne), dall’altro terrorizza. Sì, perché è difficile per tutti evitare i contatti umani: siamo animali relazionali e se qualcuno limita le nostre relazioni soffriamo, c’è poco da fare. Non stringere più le mani, stare a distanza di almeno un metro da chiunque, non abbracciare i nostri cari, stare da loro distanti (sapendo magari che hanno bisogno di noi, che non stanno bene), ognuno chiuso nel piccolo interno della sua casa a sperare che tutto torni presto come prima e che questo sia stato solo un brutto sogno. Considerare il prossimo non come un amico né come un fratello ma come un probabile nemico, colui che può veicolare il contagio, ci rende tutti più sospettosi, ostili, nervosi, immersi dentro una realtà che pare distopica come nei più angoscianti film horror.

Anche l’amore, al tempo del Coronavirus, è più difficile.

Sono difficili gli amori lontani, costretti ad alimentarsi della lontananza sine die che accende spesso una passione che non trova sfogo. Sono difficili gli amori violenti (che poi, se c’è violenza, per definizione non c’è amore), in cui (più spesso, ma non sempre) c’è una donna costretta a prendersi ciò che viene dal suo carnefice. Sono difficili gli amori già in crisi: la convivenza forzata tira fuori il peggio di ogni partner, l’insofferenza cresce insieme alle incomprensioni, si scatta per banalità e, se ci sono dei figli, l’escalation può essere persino più rapida: le differenze sullo stile genitoriale possono creare voragini di distanza e insoddisfazione che, con effetto domino, si abbattono sui bambini, già esposti a una prova durissima e innaturale: la segregazione entro le quattro mura domestiche. Ed infine sono difficili gli “amori tossici”, se già difficili non lo fossero abbastanza anche senza Coronavirus.

Va detto che, per quanto “di moda”, dire che un amore è tossico significa escludere già che si tratti davvero di amore. Per questo è meglio parlare di relazioni che possono diventare tossiche, anche se usare il termine “disfunzionale” risulta comunque preferibile, perché meno stigmatizzante.

Quando parlo di relazioni disfunzionali mi riferisco a quelle in cui uno dei due sviluppa, nei confronti del partner, una forte dipendenza affettiva. Più spesso, perché questo accada, bisogna stare con un partner “intermittente” ovvero un compagno che per struttura di personalità (spesso narcisista, borderline, istrionica) o per stile di attaccamento (spesso evitante o disorganizzato) è incapace di garantire una relazione stabile e “somministra” al partner un’alternanza imprevedibile di presenza-assenza (fisica e psicologica) che rende la relazione precaria e fa sentire l’altro su un incontrollabile ottovolante di emozioni, continuamente in dubbio rispetto all’essere veramente amato, in un oceano di disperazione in cui si sente sperduto e ricerca compulsivamente il partner, proprio come se fosse una sostanza tossica da cui è impossibile stare lontani. Dal punto di vista psicologico questo comportamento scatena un’angoscia sorda: il vuoto che ad ogni “sparizione” i partner “intermittenti” lasciano nelle vite di chi è disposto ad amarli scoperchia un vuoto più antico, che spesso ha radici profonde nell’infanzia e che le persone che sviluppano una dipendenza affettiva provano a riempire con l’amore di partner inadatti persino a “far da tappo”, figuriamoci a “colmare”.

Puoi approfondire leggendo “La bambina che la dipendente affettiva è stata”.

Questa disfunzionale modalità relazionale implica il non saper stare da soli, oltre alla tendenza forte a rendere centrale l’altra persona organizzando la propria vita intorno alla sua, negando di avere bisogni e priorità proprie che vengono sostituite da un unico, imperante, bisogno, quello dell’altro e delle sue rassicurazioni: “ti vedo, ti amo, sono presente, non ti lascerò mai”.

L’abbattersi di questa pandemia che si vince “restando lontani” ha reso impossibile per queste persone, così impreparate a rimanere sole con la loro interiorità, affrontare il vuoto e la solitudine lasciate dai loro partner. Il vuoto che il Coronavirus ci ha messo intorno è lo stesso vuoto in cui ci fa sprofondare il nostro amore disfunzionale, di fonte a questi due nemici ci sentiamo impotenti, frustrati, infelici.

Illustrazioni da “IL BUCO”
di Anna Llenas

Per l’esperienza che deriva dalla mia pratica professionale con i pazienti, soprattutto donne, che soffrono di dipendenza affettiva so che la maggior parte di loro, proprio perché tendono a legarsi a partner incapaci per definizione di stare a lungo dentro relazioni stabili, saranno, in questi giorni di difficile quarantena, lontane da coloro che credono d’amare (no, non è amore: è dipendenza!). Chi arriva in terapia per una dipendenza affettiva il più delle volte non è la moglie o il marito, né lo storico compagno/a di questa tipologia di partner. Spesso si è “frequentanti”, fidanzati o, sovente, amanti*. Ciò significa che la lontananza imposta dal governo come misura di contrasto al virus sta tenendo queste persone lontani da tutti, ma più di tutto, dall’unica persona che, nella loro mente, regala l’illusione di riempire quel vuoto. Un vuoto che adesso si apre davanti nella sua immensità, come un pozzo nero profondissimo. Il rischio di finirne inghiottiti è altissimo non potendolo riempire con le cose della quotidianità, spesso costretti a fingere che vada tutto bene con chi c’è accanto: in tempo di segregazione forzata i familiari possono diventare facilmente lo schermo su cui proiettare ansia e rabbia (inoltre, frequentemente, le persone che sono coinvolte in una relazione tossica non raccontano agli altri ciò che concedono o che sono costrette a subire, un po’ per vergogna e un po’ per paura di non essere capite).

In queste condizioni il rischio (alto) è di passare inesorabilmente da uno stato ossessivo ad uno depressivo.

Si comincia guardando mille e una volta il profilo social di lui, mandandogli l’ennesimo messaggio per controllare che sia a casa, “perché non rispondi? Che fai?”, implorando l’ennesima spiegazione/rassicurazione sul “perché ti comporti così? Non capisci quanto mi fai soffrire?”, vigilando su WhatsApp che non sia online nello stesso momento di quell’ “amica” che non è che l’ennesima donna con cui sta mettendo in scena un tradimento. Si finisce a letto, senza più voglia di alzarsi, senza più voglia di mangiare, magari ingurgitando qualche schifezza per poi sentirsi in colpa, aspettando un messaggio che non arriva mai, fantasticando scenari apocalittici in cui lui viola il divieto di uscita e va a trovare quell’altra, quella con cui sicuramente ha un flirt, e passa con lei intense e meravigliose ore d’amore. C’è chi allungherà il giro dopo aver fatto la spesa e si spingerà fino a sotto casa sua per controllare che la macchina sia posteggiata al solito posto.

Sì, l’amore disfunzionale, ai tempi del Coronavirus, può essere più disfunzionale più che mai.

Oppure può essere un’occasione per sperimentare che forse, finalmente, possiamo cogliere l’occasione di preoccuparci e occuparci di noi, coccolandoci come non abbiamo mai fatto prima, colmare il vuoto che abbiamo dentro con qualcosa che ci procuri benessere, qualcosa che ci migliori, che ci faccia crescere, piuttosto che riempirlo buttandoci dentro quella routine quotidiana che non ci soddisfa, la stessa in cui si innesta lui, rendendocela tossica più che mai.

“La crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato […]. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla”.  

Così scriveva Albert Einstein in un articolo per il magazine “The Crisis”

Come fare? Beh… non esiste una strategia perfetta per affrontare il nostro vuoto, la nostra crisi interiore.

Però si comincia decidendo di voler investire su di sé e cercando di sintonizzarsi con i propri desideri.

Ecco comunque qualche suggerimento: muoversi aiuta a scaricare la tensione e a produrre endorfine. Esistono on line centinaia di video in cui bravissime insegnanti di fitness tengono le loro lezioni (è strabiliante scoprire quanti esercizi si possono fare con un gradino, una sedia e una bottiglia d’acqua usata come peso!). Lo yoga aiuta a trovare il proprio centro, rilassarsi e mantenersi in forma. (Quante volte hai detto di non aver tempo di iscriverti in palestra? Ma il tempo per rimanere sempre a disposizione del tuo partner, quello, non ti è mai mancato!). Ci sono anche decine di corsi on line da acquistare per aggiornarsi sui più svariati argomenti (il tuo lavoro? La tua passione segreta? Il tuo hobby di sempre?). Puoi suonare lo strumento che non prendi in mano da anni, forse da quando eri una ragazzina. Puoi disegnare, scrivere un diario, cantare, cucinare, cucire, sferruzzare, creare dei bijoux, (se non sai fare niente di tutto questo potrebbe essere il tempo giusto per imparare attraverso i millemila video tutorial che trovi on line). Puoi scaricare i podcast della tua trasmissione radiofonica preferita, guardare serie tv, vecchi film, leggere quella pila di libri che giace sul tuo comodino da anni, riordinare il tuo armadio mettendo via cose che non usi più e che, a emergenza finita, potrai donare a chi ne ha più bisogno, puoi aggiornare il tuo curriculum se sei in cerca di lavoro o hai voglia di cambiarlo, puoi persino ridipingere casa (ordina l’occorrente su uno dei tanti e-shop). Puoi fare una lista delle persone che negli anni hai perso di vista, senza un motivo preciso, e richiamarle per sapere come stanno. Se hai dei figli puoi finalmente passare del tempo di qualità con loro. Sarà facile? No. I bambini soffrono più degli adulti questa difficile quarantena, ma ripensa a tutte le volte che la vita non ti ha concesso di stare loro abbastanza vicina, ripensa alle cose che ti sei persa, di loro, della loro crescita, per star dietro a quei ritmi di vita frenetici ed innaturali che lasciano così poco spazio da dedicare agli affetti più cari.

No, invece, allo shopping compulsivo on-line o all’ uso di sostanze. No al pigiama tutto il giorno: anche se non devi uscire non c’è ragione di fingerti malata con quel vecchio pigiama addosso… vestiti comoda ma vestiti! No a cibi frugali consumati senza piacere, in piedi, davanti al microonde dove sono stati scaldati. No anche alla compulsione da WhatsApp: preferisci le videochiamate ai freddi messaggini, almeno con gli amici e i familiari più cari. Sentire lo schiocco di un bacio è tutta un’altra cosa che vederlo in un’emoticon dal colorito giallognolo.

Potrei davvero continuare all’infinito con i suggerimenti ma non ti conosco e non so cosa può essere più adatto a te che stai leggendo in questo momento: crea tu il tuo piano personalizzato per la sopravvivenza e cerca di metterlo in atto, funzionerà come una sorta di vaccino.

Sono certa che se riuscirai a sopravvivere al vuoto che ci ha seminato intorno il Coronavirus riuscirai anche a sopravvivere al vuoto che ti ha lasciato intorno il tuo partner intermittente.

Illustrazioni da “IL BUCO”
di Anna Llenas

A fine quarantena avrai imparato che al vuoto si sopravvive, non importa se a mettertelo intorno è stato il Coronavirus o colui a cui, ogni giorno, da molto più tempo e con il tuo benestare, hai concesso di farti assediare la vita, come un virus. Peggio che un virus.

Puoi farcela.

P.s. Crollare, piangere, avere la sensazione di non farcela è qualcosa che può accadere a tutti. Se è così che ti senti leggi “L’importanza di essere deboli”

Silvia Pittera, Psicologa – Psicoterapeuta

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