Altre cose che voglio dirvi, relazioni tossiche

Intervista violenza contro le donne e stalking

Qualche mese fa mi è stato chiesto di rispondere ad alcune domande su violenza contro le donne e stalking. La mia intervista è stata pubblicata su un giornale locale, Prima Stampa, nel mese di ottobre 2021.

In occasione della Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne mi preme pubblicarla anche qui, sperando che più donne possibili possano leggerla e prendere la decisione di chiedere aiuto compiendo un primo, importantissimo, passo verso la loro salvezza.

Femminicidi, stalking… Quanto ha influito, secondo lei, la pandemia?

Purtroppo moltissimo e, a questo punto, non è più solo la mia opinione. Abbiamo ormai dati molto precisi che ci mostrano un quadro chiaro dell’andamento della violenza nel periodo della pandemia. Ricordo quando ebbe inizio che chi, come me, si occupa di relazioni disfunzionali e violenza di genere non poténon preoccuparsi per le donne che già vivevano in un ambiente domestico violento. Sapevamo che per loro sarebbe stato più difficile chiedere aiuto essendo costrette in casa col loro abusante.Inoltre c’erano da considerare le inevitabili ulteriori tensioni legate al generale clima di costrizione. Il lockdown per molte donne ha trasformato la casa in una vera e propria trappola. In Italia alla fine dell’anno 2020 abbiamo contato 𝟏𝟑𝟏 donne 𝐮𝐜𝐜𝐢𝐬𝐞𝐩𝐞𝐫 𝐦𝐚𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐧𝐞𝐫 𝐨 dell’𝐞𝐱 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐧𝐞𝐫. Di questi femminicidiben 44 sono avvenuti durante gli 87 giorni di lockdown – costituendo il 75,9% del totale degli omicidi nello stesso periodo con una media di 𝐮𝐧𝐚 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐚 𝐮𝐜𝐜𝐢𝐬𝐚 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐝𝐮𝐞 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧i.

Abbiamo anche dati Istat importanti che ci illustrano con ulteriore chiarezza ciò che è accaduto durante la pandemia. Se analizziamo infatti le chiamate al numero 1522 (numero anti violenza e stalking), nel periodo compreso tra marzo e ottobre 2020, ci accorgiamo che è notevolmente cresciuto rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+71,7%), passando da 13.424 a 23.071. Anche la crescita delle richieste di aiuto tramite chat è triplicata, da 829 a 3.347 messaggi. Tra i motivi che inducono a contattare il numero verde raddoppiano le chiamate per la “richiesta di aiuto da parte delle vittime di violenza” e le “segnalazioni per casi di violenza” che insieme rappresentano il 45,8% delle chiamate valide. Nel periodo considerato, rispetto all’anno precedente, esse sono cresciute del 107%. Cresciuteanche le chiamate per avere informazioni sui Centri Anti Violenza (+65,7%), [fonte Istat].

“Amore tossico” è un modo in cui spesso ci si riferisce alle relazioni sentimentali maltrattanti. Cosa si intende per tossico?”

“Amore tossico” è un modo molto in voga per definire ciò che amore, di fatto, non è.

Ed è una locuzione che non amo usare perché confonde. Può far pensare infatti che l’amore si può ammalare a diversi livelli, dove il più grave e l’ultimo è il femminicidio. Ma la violenza non ha mai niente a che fare con l’amore. L’amore degno di questo nome non è mai tossico. Se lo è,allora, non è amore. A parlare di relazioni tossiche, invece, si marca una differenza che solo all’apparenza è una sfumatura. La relazione tra due persone – infatti – può ammalarsi e diventare anche molto tossica ma a quel punto l’amore è fuori dai giochi e lascia il campo alla violenza, dove per violenza intendo sia quella fisica che quella psicologica. La relazione è tossica quando l’altro critica al fine di svalutarci, farci sentire stupide e inette e diventa un modo di interagire costante, un modello ripetuto. Quando crede di sapere sempre quel che è meglio per noi e ci rimprovera, ci punisce, se non facciamo come vuole. Quando offende il nostro modo di fare, di pensare, di atteggiarci, di vestirci e non perde occasione per sminuirci e umiliarci, anche in pubblico, arrivando a farci credere di essere sbagliate, ridicole, perfino pazze. Quando ci tratta con disgusto, con disprezzo, quando ci minaccia di lasciarci o di ammazzarsi se non facciamo come lui vuole, altrimenti diventa crudele, ci punisce col silenzio, a volte con le botte, altre volte persino con la morte. Ce lo dimostrano chiaramente tutte le donne morte per mano dei loro partner violenti fino a che punto può arrivare la punizione.

Stalker si nasce o si diventa?

Noi siamo sempre il frutto delle nostre circostanze e di ciò che decidiamo di farne. Stalker si diventa, nessuno ha un comportamento tanto deviante scritto nei geni. La cultura patriarcale dove cresciamo, di cui siamo intrisi, però, è senz’altro un fattore predisponente. Il binarismo di genere, che ci viene imposto già da neonati (l’azzurro per i maschietti, il rosa per le femminucce, le macchinine ai maschi, i bambolotti alle femmine, alle bambine spavalde e vivaci “sei un maschiaccio” e ai bambini sensibili “sei una femminuccia”) si sviluppa e si concretizza mediante la costruzione di stabili stereotipi, i quali vengono assorbiti dalla società e dogmatizzati. Il ruolo sociale della donna viene, di conseguenza, limitato ad un ambito lavorativo e domestico circoscritto; ed ecco che a prevalere è il sesso più forte, quello maschile, legittimato da una struttura sociale che è la sua ragion d’essere. Va da sé che se il maschio è il sesso forte e la femmina quello debole allora c’è un padrone e c’è una schiava -una donna – sulla strada, lunghissima, dell’emancipazione (e-mancipare dal latino “l’uscire fuori” degli schiavi dal “mancipio”, appunto). È su questo terreno culturale che lo stalker nasce e si muove, una cultura in cui la donna è di proprietà dell’uomo che può controllarla, limitarne la libertà e perfino annientarla nella sua identità se questa non fa quel che lui – il padrone – ha deciso.

“Quali sono i segnali di allarme cui una donna, un uomo, i familiari dovrebbero prestare attenzione?

Sono tanti. La lista rischia davvero di diventare lunghissima. Il problema è che spesso questi segnali non vengono considerati affatto come segnali. Sempre perché la cultura in cui ci muoviamo – o forse dovrei dire in cui anneghiamo – certi comportamenti li giustifica, li normalizza, li minimizza. Pensiamo alla gelosia, uno dei segnali più predittivi. Quante volte abbiamo sentito che in amore un po’ di gelosia ci vuole, che è normale. No, non lo è. Non è normale che un uomo ti chieda di non mettere determinati abiti. Non è normale mandargli dei messaggini di aggiornamento circa i tuoi spostamenti “per farlo stare tranquillo”, né fargli sapere esattamente quando rientrerai “perché si preoccupa”, non è normale rinunciare alla palestra o agli amici “perché lui non vuole”, non è normale ricevere una videochiamata con la richiesta di vedere dove sei o con chi sei. Se poi subisci improvvisate col fine di controllarti (attenzione, sono spesso spacciate per sorprese!), pedinamenti, appostamenti, bigliettini intimidatori, danni alle tue proprietà, doni non graditi, allora siamo già oltre i segnali, abbiamo a che fare con uno stalker i cui comportamenti sono perseguibili per legge.

Qual è il profilo di uno stalker?”

I familiari invece devono imparare a leggere i sintomi. Le donne vittime di stalking, durante la campagna di persecuzione, accusano infatti una sintomatologia ad ampio spettro, sia sul piano fisico che su quello psichico. Tra i sintomi più frequenti: disturbi del sonno, variazione di peso, perdita o aumento dell’appetito, stanchezza eccessiva e senza altre cause apparenti, attacchi di panico, ansia, rabbia, irritabilità, isolamento.

Con il termine stalking si intende una forma di aggressione messa in atto da un persecutore che irrompe in maniera ripetitiva, indesiderata e distruttiva nella vita privata di un altro individuo, con gravi conseguenze fisiche e psicologiche. Iniziamo col dire che generalmente lo stalker è uomo: nel nostro Paese la maggior parte dei comportamenti assillanti vengono messi in atto da partner o ex partner di sesso maschile. In Italia il 70% degli stalker sono uomini di età compresa tra i 18 e i 25 anni (il 55% dei casi) quando la causa è di abbandono o di amore respinto, o superiore ai 55 anni in situazioni di separazione o di divorzio. Studi analoghi effettuati in Inghilterra e in Australia confermano il dato italiano. Non è possibile individuare un solo profilo, è più corretto parlare di profili, al plurale. Una delle classificazioni più autorevoli viene dal cosiddetto “gruppo di Melbourne” che ha proposto una tipologia di stalker articolata in cinque categorie, basata sulle motivazioni dominanti dello stalker, sugli elementi di rinforzo che tendono a perpetuare il comportamento di stalking e sul contesto nel quale la persecuzione viene agita. Le categorie sono: cercatore di intimità, respinto, risentito, predatore, corteggiatore incompetente. Il primo, il “cercatore di intimità”, fa di tutto per costruire con un partner idealizzato una relazione romantica, col fine di curare la propria solitudine, noncurante dei suoi rifiuti che giustifica convincendosi del fatto che l’altro ha solo bisogno di risolvere un problema affettivo. Il secondo, ovvero “il respinto”, generalmente inizia la persecuzione dopo che la partner lo ha lasciato, o ha espresso il desiderio di farlo. L’obiettivo esplicito può essere la riconciliazione oppure la vendetta o entrambe le cose. Il terzo, noto come “il risentito”, è mosso da un fortissimo desiderio di rivalsa nei confronti di un individuo dal quale pensa di essere stato danneggiato e che per questo, ritiene, debba essere punito. “Il predatore”, invece, persegue i propri impulsi di gratificazione sessuale, il suo scopo è sempre quello di avere un rapporto sessuale con la vittima, non di rado una sconosciuta, di cui studia le mosse per pianificare l’agguato. L’ultimo tipo, infine, il “corteggiatore incompetente”, è sostanzialmente una persona con scarsa abilità relazionale che sitraduce in comportamenti opprimenti ed esplicitamente invadenti, salvo eccezioni è il meno offensivo.

Secondo lei, sarebbe opportuno, invece degli arresti domiciliari, o il divieto di avvicinamento, quando vengono denunciati dalle vittime, portarli direttamente in una casa di cura?

Questa, che a prima vista potrebbe sembrare una soluzione, è in realtà una strada non praticabile: gli stalker non sono sempre persone con un disturbo psichiatrico, anche se alcune forme di persecuzione sono inserite nel contesto di un quadro psicopatologico. Lo stalking, inoltre, non è un fenomeno omogeneo; pertanto risulta davvero difficile far rientrare i molestatori assillanti in una categoria diagnostica precisa e identificare la presenza di una vera e propria patologia mentale di riferimento. Va da sé che se non c’è un disturbo psichiatrico diagnosticabile non c’è nemmeno possibilità di essere curati. Inoltre, gli interventi psicologici di tipo coatto risultano spesso inefficaci: la motivazione interna è infatti un fattore di primaria importanza per il buon esito di qualsiasi tipo di trattamento psicologico; trattamento che è dunque meglio attivare, se sussistono le condizioni, solo in un secondo momento, quando la vittima è già in sicurezza. Credo che, dopo la denuncia, debbano attivarsi immediatamente misure restrittive che impediscano fisicamente al molestatore di raggiungere la vittima. Perché questo accada servono anche figure specializzate, altamente formate nell’ambito della violenza di genere, preposte a raccogliere le segnalazioni delle vittime, che possano valutare il rischio potenziale sulla base di competenze precise in materia. Diffide e divieti di avvicinamento sono del tutto inefficaci, ce lo dicono i dati. 

“Cosa si sente di dire alle tante vittime ogni giorno di violenze, anche psicologiche?”

Due cose.

La prima: denunciate. Fatelo per voi e per le altre donne nella vostra condizione, fatelo per le vostre figlie e per le generazioni di donne che verranno.  Se non lo fate la condizione di noi donne non cambierà mai.

La seconda: fatevi aiutare. Le violenze, fisiche o psicologiche, lasciano ferite che a lungo possono restare dolenti ma con un buon sostegno psicologico si torna alla vita. Si dice spesso che solo le persone deboli non chiedono aiuto. Io ho conosciuto decine e decine di donne vittime di violenza, e una cosa posso dire con sicurezza: sono tante cose queste donne, ma deboli mai.

Silvia Pittera

Psicologa e Psicoterapeuta di orientamento sistemico – relazionale.

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