Se sei giunta in questa pagina forse temi di stare sviluppando o di aver sviluppato una dipendenza affettiva.
Proverò, qui di seguito, a tracciare un profilo della dipendente affettiva. Nel leggerlo vorrei che tenessi conto della tua unicità: ogni persona infatti è diversa, frutto di una irripetibile storia personale che la rende eccezionale, per cui sarà assolutamente normale ritrovarsi in alcuni di questi tratti e non riconoscersene altri.
Prima che cominci a leggere, però, voglio che tu sappia due cose:
1) che l’incontro con talune personalità gravemente compromesse (narcisisti perversi, psicopatici e sociopatici) dà luogo quasi sempre a dipendenza affettiva, derivante dall’abuso subdolo e costante che essi infliggono alle loro vittime e dall’attivazione di processi biochimici cerebrali non dissimili da quelli che si attiverebbero se facessi uso di una sostanza stupefacente. Se questo è il tuo caso è altamente probabile che tu sia una donna “sana”, equilibrata, senza una storia infantile problematica e con una discreta autostima. Ciò è ancora più probabile se le tue relazioni precedenti sono state sane e fa sì che, con molta probabilità, lo saranno anche le successive.
2) che dalla dipendenza affettiva, sia che essa derivi dall’incontro con un partner perverso, sia che essa appartenga a te come tratto strutturale della tua pernonalità e come esito di un particolare tipo di infanzia, si può venire fuori. E che comprendere d’avere un problema è il primo, indispensabile, passo verso l’unico amore che può essere eterno: l’amor proprio.
Le dipendenti affettive:
- Sono spesso donne di successo in altre aree della vita. Di loro si dice che erano brave a scuola, all’università e sul lavoro risultano sempre essere molto competenti.
- Hanno uno spiccato istinto materno (attenzione! l’istinto materno non ha nulla a che vedere con l’essere madre: esistono madri affatto materne e donne che mai diventeranno madri che invece posseggono una riserva di istinto materno inesauribile).
- Funzionano bene nelle professioni d’aiuto: è come se il ruolo di salvatrici fosse loro cucito addosso.
- In amore sono poco selettive: si aggrappano spesso al primo venuto non concedendosi un tempo iniziale di valutazione dell’altro.
- Non ascoltano la loro voce interiore: nonostante all’inizio della relazione una vocina suggerisca loro che qualcosa nel partner non va, scelgono di ignorarla in nome dell’illusione dell’amore romantico che lui promette.
- Confondono il possesso con l’amore: un compagno possessivo viene spesso preferito a uno più equilibrato in quanto la costante presenza e l’eccessivo controllo sulla propria vita viene erroneamente considerata una dimostrazione d’amore.
- Credono che se si comporteranno bene l’altro le amerà, pertanto metteranno in secondo piano i loro bisogni e ridurranno gradualmente le loro richieste in modo che la stabilità della relazione non venga mai messa in discussione.
- Maturano un pensiero di tipo egocentrico: poco alla volta tenderanno a riferire a sé i comportamenti della persona che amano. Tale patologica modalità di pensiero trasformerà evidenti segnali d’abbandono in confuse prove d’amore o, più semplicemente, porterà a sottostimare i segnali di disconferma e a sovrastimare, indorandoli, quelli di conferma.
- Nonostante si dicano innamorate talvolta hanno l’impressione che la loro relazione non sia guidata dall’amore ma piuttosto dalla paura: paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, o abbandonate o annichilite.
- Provengono spesso da famiglie in cui i loro bisogni emotivi di bambine, per motivi che possono essere anche molto vari, sono stati ignorati e pertanto sono cresciute con la sensazione di essere “invisibili” o non meritevoli d’amore. Molte di loro hanno sperimentato un attaccamento ambivalente alla loro madre: ripercorrendo la loro storia troviamo mamme sintonizzate con i bisogni delle figlie in maniera intermittente, in modo da provocare nelle bambine un perenne stato d’attesa del momento (del tutto imprevedibile) in cui sarà somministrata una “dose” d’amore.
- Tendono a riprodurre nella propria vita di coppia un ruolo simile a quello vissuto con i genitori, nel tentativo paradossale di scrivere un copione diverso (il tentativo di salvare lui spesso non è altro che il tentativo di salvare se stesse dalla propria storia familiare).
- Da bambine sono state spesso triangolate nelle dinamiche di coppia, talvolta usate in maniera strumentale per tenere vicino il partner o captate in coalizioni perverse da uno dei genitori con la finalità di attaccare e indebolire l’altro.
- Raccontano spesso d’aver avuto un padre distante, non necessariamente negligente o maltrattante. Il padre della dipendente affettiva è più spesso un padre freddo, emotivamente distaccato, talvolta narcisista, sempre e comunque un padre che si è percepito come irraggiungibile e con il quale si è sentito ci fosse una sorta di “muro” di incomunicabilità.
- La loro mente non si sente attrezzata per affrontare la rottura della relazione, che pertanto risulta impensabile e viene procrastinata all’infinito. Immaginarne la fine apre a scenari drammatici nei quali ci si immagina cadere in un baratro di dolore senza fine.
- Somatizzano: ansia, attacchi di panico, insonnia, condotte di abbuffate, umore tendenzialmente depresso che si alterna a picchi di eccitazione nei momenti in cui il partner è maggiormente presente o mostra segni d’innamoramento, sono solo alcuni degli esiti sul versante psicologico che possono manifestarsi nel corso di una dipendenza affettiva. Se il partner, però, è francamente patologico (narcisista, psicopatico o sociopatico) è frequente che si sviluppi un vero e proprio Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) o che si configuri la cosiddetta Sindrome di Stoccolma.
Dott.ssa Silvia Pittera, Psicologa – Psicoterapeuta
[Grazie a DipendiAmo.blog, per alcuni preziosissimi spunti contenuti in questo articolo].
Illustrazione di Anna Godeassi