A giugno del 2018 si chiudeva il primo gruppo di donne desiderose di uscire dalla dipendenza affettiva che si fossero mai incontrate a Catania, nello studio di una terapeuta.
Le partecipanti al gruppo si sono riunite 14 volte, hanno condiviso rabbia, dolore, angosce, malinconie ma anche progressi, sorrisi, forza, sostegno reciproco. Le ho viste conoscersi, nutrire dubbi le une sulle altre, aver paura di aprirsi e infine lasciarsi andare, diventando amiche, sorelle. Insieme hanno pianto, riso, disegnato, scritto, si sono scambiate doni reciproci e liberate (anche materialmente) dei fardelli del passato consegnandoli a me, hanno persino condiviso torte e biscotti fatti in casa, imparando a prendersi cura di sé stesse, con dolcezza e donandosi reciprocamente la tenerezza che avevano, fino ad allora, riservato solo a chi l’aveva saputa sciupare con noncuranza.
Al termine degli incontri non erano più semplici membri di un gruppo che avevo guidato nel percorso di uscita dalla dipendenza affettiva, erano maglie della stessa rete di salvataggio, parte di un tutto che le avrebbe protette impedendo loro di cadere nuovamente nell’abisso terribile delle relazioni disfunzionali o che avrebbe quantomeno fornito loro un sostegno, nel caso non fossero riuscite ad evitarlo.
Tutte infatti avevano imparato che era necessario difendersi di più e meglio da chi stava facendo loro del male e l’avevano fatto giocando, grazie al contributo prezioso che, su mio invito, ci aveva portato durante una delle nostre sedute la dott.ssa Rose Galante che, col suo libro “Perché non lo lascio?” edito nel 2012 da Antigone e la sua inestimabile esperienza, è una delle massime esperte in Italia in tema di psicoterapia delle donne maltrattate.
Quando decisi di mettere in piedi il gruppo mi occupavo di dipendenza affettiva già da qualche anno. Fu pressappoco nell’estate del 2017: avevo letto abbastanza sulle potenzialità di un gruppo di incontro guidato e facilitato da un terapeuta esperto e avevo incontrato un numero cospicuo di donne, in terapia individuale, che mi avevano insegnato, come solo i pazienti sanno fare, l’importanza di non sentirsi sole in questo percorso.
Molte di loro si sentivano sole.
Quasi tutte, a dire il vero. E quasi tutte non riuscivano ad immaginare nessuna strategia che le portasse fuori da quell’isolamento che solo la dipendenza affettiva, soprattutto se alimentata dall’incontro con una personalità davvero compromessa, riesce a procurare. Le relazioni abusanti, infatti, si contraddistinguono per il fatto che il partner maltrattante fa terra bruciata intorno alla persona che dice di amare, isolandola. Nonostante la violenza inflitta da queste persone spesso non abbia bisogno di lividi e percosse, la potenza dell’abuso psicologico è tale per cui, in men che non si dica, ci si ritrova incredibilmente vulnerabili. E’ grazie a una manipolazione potente e capillare, infatti, che alcune persone riescono con grande perizia a isolare i partner. Così questi restano innanzitutto senza amici, poi senza più rapporti né con i fratelli né con i genitori. A quel punto l’unico sostegno è il partner maltrattante rimasto in una posizione di dominio e potere assoluto, come un cane rabbioso lasciato libero di scorrazzare distruttivamente su un terreno ormai arido. Anche quando il gaslighting non è così forte, la persona che soffre di dipendenza affettiva tende ad annullare la sua esistenza, appiattendola su quella dell’altro.
[Se vuoi saperne di più sul gaslighting e sulle altre modalità comunicative perverse messe in atto da narcisisti patologici clicca qui].
Le rinunce avvengono solitamente in maniera graduale: oggi si decide di non andare all’aperitivo con l’amica storica, domani si eviterà la palestra, poi si rinuncerà alle vacanze, al trasferimento lavorativo che si era preventivato… e così via. A breve termine queste scelte hanno il vantaggio di scongiurare l’abbandono imminente e per di più, si pensa, non ci si perderà nemmeno un secondo del preziosissimo, centellinato, tempo che il partner maltrattante ha deciso di concederci.
È così che va la dipendenza, è così che ci si trova soli a vivere una vita non più nostra.
Il gruppo ha avuto innanzitutto il grande vantaggio di immettere le partecipanti in una rete relazionale capace di cullare chi ne è parte, fino ad assorbirlo e diventare allo stesso tempo rete di salvataggio per gli altri: uno scambio reciproco di doni tra i membri, qualcosa che guarisce per il calore intrinseco che emana, per il solo fatto di incontrarsi e condividere. Ma di certo non solo per questo.
Scongiurare la solitudine e l’isolamento, infatti, non è l’unico vantaggio che il gruppo ha prodotto. Sono almeno altri tre i fattori terapeutici che hanno senza dubbio contribuito al miglioramento delle donne che hanno deciso di prendervi parte.
Il gruppo infatti:
- INFONDE SPERANZA, INCREMENTA L’AUTOSTIMA E IL SENSO DI AUTOEFFICACIA
Nel percorso che porta fuori dalla dipendenza affettiva, le partecipanti che prendono parte al gruppo, si trovano inevitabilmente in posizioni differenti rispetto all’obiettivo finale di divenire più libere, più orientate verso se stesse e maggiormente capaci di amarsi e rispettare le loro inclinazioni, senza più annullarsi nell’altro. Le donne coinvolte vedono migliorare le loro compagne o sentono il racconto di chi, in situazioni simili a quelle da loro vissute, ha cercato e messo in atto strategie più efficaci per fronteggiarle. Guardano, ascoltano, imitano, traggono ispirazione, accolgono i suggerimenti delle altre che ce l’hanno fatta e sperano che quel miglioramento possa, presto o tardi, arrivare anche per loro. Tutte possono constatare che le angosce abbandoniche, che ognuna di loro ha provato, non hanno ucciso coloro che sono più avanti nel processo di guarigione, anzi. Questo è rassicurante e dona la forza di non mollare. Chi invece riesce ad infondere forza e fiducia negli altri ne guadagna un’inestimabile senso di autoefficacia e una accresciuta autostima: non solo è riuscita a migliorarsi ma è anche in grado di essere d’aiuto ad altre donne in condizioni simili: quella sofferenza, forse, non è stata tutta inutile.
- DONA UNIVERSALITÀ ALL’ESPERIENZA DI SOFFERENZA
Molte donne intraprendono la terapia con la convinzione, tutta sbagliata, di non aver pari nella loro disgrazia, di aver solo loro certi problemi, certi pensieri, certi condannabili comportamenti. Solo loro hanno incontrato un uomo così terribile, il loro partner è il più mostruoso di tutti. Credono che il terapeuta si impressionerà al racconto del feroce scarto che hanno subito o davanti alla narrazione di quanto sono state disposte a calpestare la loro dignità pur di restare fedeli a quell’uomo. Questa sensazione è vera solo in parte. Lo è perché ognuno di noi è unico e irripetibile, così come lo è la sua storia. Allo stesso tempo è falsa perché le storie di dipendenza affettiva e abuso si somigliano tutte in una maniera che ha un nonsoché di inquietante, questo lo sanno bene i terapeuti esperti e lo scoprono presto anche le donne che prendono parte a un gruppo di incontro. Nel gruppo, specialmente durante le prime sedute, la smentita di queste sensazioni di unicità rappresenta una fisiologica fonte di sollievo. Insieme finisce per dissolversi la vergogna, il senso di colpa e l’autobiasimo per aver permesso a qualcuno di renderle così fragili, “Se succede a tutte loro, forse, non sono io quella sbagliata, quella debole”, si comincia a pensare. Il sentirsi sulla stessa barca, insomma, rende l’equipaggio più forte.
- INFORMA
La maggior parte delle persone che hanno preso parte al gruppo di incontro hanno appreso, al termine dello stesso, alcune cose sul loro funzionamento psichico, sul significato e la funzione dei sintomi, sulle dinamiche interpersonali e di gruppo e, sicuramente, hanno imparato moltissime cose sull’abuso che hanno subito. Mi riservo di fornire, durante le sedute, molte informazioni su quest’ultimo e su come funziona una personalità abusante, in quanto credo fermamente che i terapeuti, così come altri professionisti dell’aiuto abbiano il dovere morale e professionale di informare, di chiamare le cose col loro nome e spiegarne i processi. Sapere che hai a che fare con una persona dalla personalità perversa infatti può aprirti un mondo non solo su ciò che hai vissuto fino ad allora ma anche su ciò che sarai chiamato a vivere se deciderai di rimanerci o se deciderai di interrompere la relazione. Sono informazioni imprescindibili e, in un gruppo, sono offerte sia dal terapeuta che dagli altri membri, che le arricchiscono puntualmente col racconto delle loro esperienze. Un privilegio unico, che solo il gruppo regala.
A settembre 2018 un nuovo inizio!
I benefici del gruppo possono essere innumerevoli. La letteratura, vastissima, sull’argomento, ne elenca molti di più rispetto a quelli che ho deciso di presentarvi sinteticamente in questo articolo.
Per scoprire tutti gli altri vi invito a prendere parte ad una seduta.
Un nuovo gruppo di incontro prenderà vita a settembre 2018. Se volete farne parte basterà contattarmi cliccando qui o chiamando il 3494040698 e sostenere un colloquio conoscitivo con me.
Una a volta costituitosi, il gruppo si riunirà nel mio studio (Catania, via Francesca Corso n°4) due volte al mese e per un’ora e mezza, a partire da venerdì 14 settembre, ore 18.00.
Se vuoi conoscere altre possibilità terapeutiche clicca qui.
Vi aspetto.
Dott.ssa Silvia Pittera, Psicologa e Psicoterapeuta.